7.5.09

Politica senza politici



Intendo per Politica la ricerca e la promozione dei beni comuni dai quali dipende la qualità della vita di tutti. La Politica è quindi uno strumento delle società, finalizzato alla cura e al bene della propria polis. Si basa sulla realizzazione della volontà generale e condivisa, meglio conosciuta come democrazia. Il fine ultimo della politica è la realizzazione dei bisogni di una collettività. Il compito di fare politica non è di esclusiva competenza dei partiti, divenuti ormai un ostacolo della democrazia reale, quanto dei cittadini, dell'associazionismo più vario e di tutte le forme espressive della società civile. Ognuno, consapevole o meno, è attore politico.

Oggi, i reali centri di potere ci appaiono sempre più lontani, invisibili e irraggiungibili, difficilmente condizionabili attraverso il voto. Nasce, quindi, l'urgenza di ricercare un'identità in grado di fornire sicurezza. Si sviluppa il bisogno di avere riferimenti più vicini, sui quali avere la certezza di poter esercitare un condizionamento. La comunità locale, il Comune, sono l'ambito in cui realizzare tali attese. Lo slogan che il movimento dei movimenti ha fatto proprio "Pensare globalmente, agire localmente", trova, in questo contesto, la sua piena legittimazione. Sempre più spesso, nei territori su cui ricadono gli effetti negativi della globalizzazione, i cittadini tendono a organizzarsi per contrastarne l'azione. Il conflitto si radica a livello locale, origina vertenze specifiche e favorisce l'auto organizzazione delle masse popolari. Allora bisogna immaginare un'altra mappa in cui, al posto dell'urban marketing, della competizione tra città ci sia invece la possibilità di costruire reti di città solidali e cooperanti. Città nuove, che scambiano tra loro esperienze di partecipazione diretta e di welfare comunitario e che si interroghino anche su forme di disobbedienza alle leggi ingiuste e sulle resistenze alle imposizioni di poteri autoritari e imperiali.

La democrazia formale, che l'Occidente vorrebbe esportare nel mondo come unico modello possibile di partecipazione, ha in realtà esaurito la propria funzione: oggi l'assioma "una testa, un voto", non ha più il significato originario. La crisi della partecipazione politica nasce da una spinta "dal basso", ovvero dal manifestarsi dell'inadeguatezza della democrazia formale a rappresentare la ricchezza soggettiva, espressa da dinamiche produttive e sociali moltitudinarie. E, al tempo stesso, dalla crescita di una autonoma capacità di cooperazione, autorganizzazione e autoregolazione sociale, indisponibile sia a lasciarsi governare, sia a delegare. Bisogna creare le condizioni per un confronto serrato, franco, con e tra esperienze concrete di lotta, e di traduzione di queste in momenti di autodeterminazione e autogoverno, di riappropriazione del territorio e del controllo sulle proprie vite e sulla vita delle proprie comunità. Dobbiamo essere capaci di tradurre queste idee in esperimenti e pratiche di vita se non vogliamo essere complici della decadenza umana. Un altro mondo è possibile!

1.5.09

Sull'IMMIGRAZIONE

Il razzismo è ritornato di moda! Si avverte per le strade e nelle piazze. Oggi, a differenza del passato, questo sentimento non si basa su discriminazioni di carattere ideologico, colore della pelle o presunta inferiorità, quanto su motivazioni molto più pratiche. L'immigrato è colui che sbarca nel nostro paese e causa problemi di sicurezza e funzionamento della nostra società. Nel sud Italia, dove la maggiore preoccupazione è quella del “posto di lavoro” il razzismo è alimentato dalla sensazione che l'immigrato ci ruba il lavoro, quando in realtà si tratta di manodopera umile e a basso che solo un disperato può accettare.
Questa nuova corrente si definisce neo-razzismo. Parte dal rifiuto violento dell'altro ma, appunto, è spinta da motivazioni concrete e agisce concretamente. La cosa che maggiormente preoccupa è che si possono trovare forme di neo-razzismo ovunque e chiunque ne può fare parte. Così si trovano allo stadio durante una partita di calcio, all'aeroporto mentre si attraversa la dogana, ad un chiosco mentre rubi caramelle o all'ingresso della scuola mentre attendi l'inizio della lezione.
Dunque, questa nuova ideologia non conosce classi bensì le include tutte. E' trasversale e in costante espansione.
Ma come mai emerge proprio ora? Potrebbero esserci diversi motivi, la cui contingenza ha portato proprio ora a maturazione questo amaro frutto. Dopo le elezioni politiche del 2008, al governo del paese sono approdate personalità che sulle questioni del “ventennio” non hanno mai chiarito la propria posizione. Di fatto l'immigrazione è stata da subito inquadrata nelle politiche per la sicurezza del paese e affrontata con un maggiore impiego di forze dell'ordine. Il “pacchetto sicurezza” appena approvato prevede che i migranti in arrivo devono essere imprigionati per sei mesi nei CIE, il tempo per l'identificazione ed espulsione. Sei mesi? E poi ci saranno le “ronde” che di notte, invece di dormire, si cimenteranno nel nuovo sport nazionale: la caccia all'immigrato. L'odio razziale sembra trovare legittimità nelle istituzioni mentre la spirale di violenze gratuite sembra non avere fine. Nel frattempo, la nostra valorosa Guardia Costiera ci difende dalla minaccia barconi e non esita a sparare a vista sui migranti in mare, invitandoli, così, a tornare il Libia. La Libia, il paese di quel Gheddafi che con Silvio ha stretto accordi segreti da milioni di euro. La Libia, che non riconosce alcun diritto umano, che non distingue l'immigrato dal rifugiato, che ospita nelle sue carceri circa 1 milione di persone all'anno provenienti di ogni capo dell'Africa e che violenta sistematicamente le donne migranti che sognano un Italia che non esiste.
A tutto questo è perentorio opporsi! In tale situazione il celebre quesito “che fare?” ritorna quantomai attuale. Ogni persona di buona volontà dovrebbe porselo. La risposta non è semplice perché la questione è molto complessa, ma una cosa è certa, restare a guardare equivale ad essere complici!
Ne discuteremo insieme e studieremo strategie di lotta perchè vogliamo che Avellino diventi città modello per spirito di accoglienza e pacifica convivenza tra popoli e culture.